Che fine ha fatto l’infarto?

Parallelamente all’inarrestabile avanzata del Covid-19 in tutto il mondo si è assistito ad una drastica riduzione degli STEMI (l’infarto miocardico secondario alla occlusione coronarica, la cui terapia attualmente è l’angioplastica coronarica con l’applicazione di uno stent).  In Spagna come in Lombardia, in Canada come in Inghilterra e negli Stati Uniti tale calo arriva anche al 70-80% rispetto all’epoca pre-pandemia.

Il nostro paese purtroppo è stato il primo in Europa a vivere l’incubo dell’infezione virale, che ha messo in ginocchio la Lombardia. I cardiologi interventisti che abbiamo intervistato nel territorio nazionale dichiarano una sorprendente riduzione dei ricoveri per infarto che in media supera il 50% ed arriva ad oltre il 60% per gli STEMI.

Nessuno è in grado per ora di spiegare il fenomeno. L’ipotesi che il virus sia in qualche modo protettivo, stabilizzando la placca, non ha plausibili presupposti biologici.

Abbiamo intervistato tre cardiologi per conoscere le dimensioni del fenomeno e comprenderne le ragioni.

Calano le diagnosi di infarto. Si riducono anche le procedure di angioplastica nelle sindromi coronariche acute? 

Prof. Francesco Prati (Osp. S Giovanni, Roma). Si. Dal confronto tra le procedure di Marzo dell’anno 2019 e l’anno 2020 effettuate presso la cardiologia del S Giovanni, emerge un calo del 55% per le procedure di PTCA primaria e del 33% relativamente agli interventi riservati al NSTEMI. Nei primi 15 giorni dalla messa in atto delle disposizioni sull’isolamento le emergenze cardiologiche quasi non si vedevano. Solo nell’ultima settimana il trend è cambiato, perché come centro non COVID, il S. Giovanni assorbe molte emergenze da altre strutture.

Immagino che anche a Rimini si sia osservata una riduzione delle diagnosi di infarto.

Prof. Giancarlo Piovaccari (Osp Infermi Rimini). Gli infarti NSTEMI si sono ridotti addirittura dell’80%. Non è un caso che sia deciso di chiudere momentaneamente il reparto di cardiologia di Riccione, che è compresa nell’area vasta di Rimini.

Quali sono le cause?

G. Piovaccari. Penso che l’ipotesi più credibile sia che i pazienti, terrorizzati dall’idea di recarsi ad un pronto soccorso per evitare il contagio, non giungano in ospedale e, nei casi più sfortunati, muoiano a casa. Altri pazienti invece possono giungere all’osservazione ospedaliera tardivamente, al di fuori della tempistica necessaria per effettuare un’angioplastica primaria.

Eppure, secondo un lavoro pubblicato dal New Engl J Med nel 2018 e ripreso dal prof De Caterina a Conoscere e Curare il Cuore dello scorso anno, nel corso dell’influenza il rischio d’infarto aumenta di quasi sette volte. Che nesso c’è tra infezione COVID e infarto?

Prof. Arbustini (Pol. San Matteo, Pavia) Non sappiamo esattamente se il COVID-19 possa aumentare il rischio di infarto analogamente al virus influenzale cui siamo abituati. Al momento comunque il problema sembra opposto: di infarti del miocardio se ne vedono pochi. Non è ancora così chiaro come agisca il virus. È possibile che il rilascio di citochine infiammatorie possa agire non solo a livello polmonare ma anche in altri distretti, tra cui il cuore. Le biopsie ci aiuteranno a comprendere.

È fuori luogo pensare a soluzioni più ottimistiche per giustificare il calo di infarti?

F. Prati Ci sono dati sul ruolo dell’inquinamento nel favorire l’infarto. E’possibile che l’inquinamento atmosferico secondario al crollo del traffico rappresenti un elemento protettivo per l’insorgenza di infarto. E poi ancora non possiamo escludere che i ritmi di vita più rilassati imposti dalle restrizioni sociali con la conseguente riduzione degli stimoli stressanti, l’aumento delle ore di sonno, l’aumentata aderenza alla terapia farmacologica consentita dalla permanenza prolungata in casa rappresentino conseguenze favorevoli di questa evenienza drammatica e possano esercitare un ruolo nella riduzione dell’infarto. Rimango però convinto che sia il timore del contagio l’elemento di fondo che ha ridotto così tanto le diagnosi di infarto.

Il Dr. Bueno, di Madrid, intervistato dall’ESC recentemente, si soffermava su questo aspetto. A Madrid, che sta vivendo un momento drammatico, più o meno come Bergamo, la diagnosi di infarto è una rarità. Per il timore di contrarre la malattia la gente rimane a casa, anche quando accusa i sintomi dell’infarto, con conseguenze molto negative.

Da www.centrolottainfarto.org

Comocuore invita coloro che dovessero manifestare i sintomi di un attacco cardiaco a vincere la paura e a recarsi al più presto in ospedale, considerando che il percorso intraospedaliero (pronto soccorso – laboratorio di emodinamica) è nettamente separato da quello dei pazienti affetti da infezione Covid-19, non rinunciando così a una terapia applicata precocemente (angioplastica coronarica) in grado di ridurre al minimo le conseguenze dell’infarto stesso.