17 Gennaio 2023

Il colesterolo alto? Non mi riguarda

Il colesterolo? È una brutta gatta da pelare ma non mi riguarda. Così la pensa la maggioranza degli italiani, stando a un’indagine condotta da Iqvia per Mylan secondo cui il colesterolo alto è il terzo fattore di rischio cardiovascolare che viene in mente dopo l’ipertensione e la glicemia elevata oltre che uno dei «sorvegliati speciali» perché responsabile di infarti e ictus, ma non è un problema per se stessi: ben il 63 per cento di chi non ha i valori sballati ritiene poco probabile di ritrovarsi con un’ipercolesterolemia in futuro. Consola scoprire che sei persone su dieci hanno fatto almeno una valutazione del colesterolo totale nell’arco degli ultimi dodici mesi (appena il 13 per cento non si è sottoposto al test negli ultimi cinque anni), ma poi pochissimi si ricordano l’esito o sanno capire se c’è di che preoccuparsi: l’86 per cento non sa quale sia il valore soglia per Ldl e Hdl, uno su due non ne ha idea neppure per il colesterolo totale. Ma quel che è peggio è la scarsa consapevolezza del rischio personale: il 34 per cento di chi ha dichiarato di avere i valori di colesterolo nella norma in realtà li ha borderline o sopra la soglia.

Valori personalizzati

«Non mi sorprende, la consapevolezza reale è ancora poca», ammette Alberico Catapano, docente di farmacologia del dipartimento di Scienze Farmacologiche e Biomolecolari dell’Università di Milano e coordinatore delle nuove linee guida sulle dislipidemie dell’European Society of Cardiology. «Le soglie personalizzate non aiutano, perché i pazienti vorrebbero un numero solo valido sempre e per tutti; e non aiutano i referti degli esami, dove di solito viene scritto che un valore è “normale” senza metterlo in relazione al livello di rischio cardiovascolare del singolo. Ognuno dovrebbe invece conoscere il proprio colesterolo e il proprio obiettivo, iniziando a farlo presto: ridurre di appena 20 mg/dl il colesterolo ma mantenere questo risultato per tutta la vita taglia del 40 per cento il rischio cardiovascolare, un effetto non sempre ottenibile coi farmaci. Controllare il colesterolo quando si supera la pubertà, ripetere i test regolarmente (ogni tre anni se il rischio cardiovascolare è basso, ogni anno se è elevato, ndr) e mantenerlo sempre nei limiti è il modo migliore per non dover poi ricorrere alle terapie».

L’esempio virtuoso

Non vale quindi solo «più scende meglio è», ma anche «prima scende meglio è»: il modo per riuscirci è avere uno stile di vita sano, perché solo con le buone abitudini quotidiane i benefici restano nel lungo periodo. La prova? La storia di Brisighella, in provincia di Ravenna, che dal 1972 è un «paese-laboratorio» in cui sono stati sperimentati vari progetti per la lotta al colesterolo e per migliorare lo stile di vita: il rischio cardiovascolare degli abitanti è diminuito negli anni ed è un esempio di intervento virtuoso su un’intera popolazione che il mondo ci invidia. Le raccomandazioni sono quelle classiche: no al fumo, sì a un’attività fisica regolare (6-10mila passi al giorno sono la «dose» adeguata per molti) e soprattutto a una dieta equilibrata.

L’errore delle calorie

«L’errore principale è esagerare con le calorie rispetto al fabbisogno energetico: è questo, insieme all’eccesso di grassi saturi, a facilitare la sintesi del colesterolo. Gran parte del colesterolo in circolo è infatti prodotto dal fegato, la quota dal cibo è minima, circa 400 milligrammi sui 2,5 grammi di colesterolo che ogni giorno viene gestito dal nostro organismo. Non bisogna quindi demonizzare i cibi che ne sono ricchi, come l’uovo, ma occorre piuttosto contenere le calorie, ridurre i grassi saturi (non devono superare il 10 per cento delle calorie totali, il 7 in chi è a rischio, ndr) ed eliminare i grassi trans (che derivano dai processi industriali con cui vengono idrogenati gli oli vegetali), i più dannosi», conclude Catapano.

Colesterolo alto ereditario

Ci sono persone che convivono con il colesterolo alle stelle fin da quando sono in fasce perché hanno l’eccesso di Ldl scritto nei geni, così spesso hanno un infarto già da giovani. Ma l’ipercolesterolemia familiare è sotto-diagnosticata e ancor meno curata: lo hanno sottolineato di recente gli esperti durante il congresso dell’European Society of Cardiology, dove uno studio ha dimostrato come questi pazienti abbiano un rischio di infarto da dieci a tredici volte più alto del normale, il primo attacco di cuore vent’anni prima degli altri ma si curino per il colesterolo alto solo nel 48 per cento dei casi. Eppure riconoscerne uno significa individuare letteralmente una famiglia di casi: il 78 per cento dei pazienti ha genitori o parenti stretti che hanno avuto infarti o problemi cardiovascolari.

I 4 segnali da tenere d’occhio

La malattia è genetica dominante: basta perciò ereditare una copia del gene difettoso dal padre o dalla madre per manifestare il problema e avere quindi il 50 per cento di probabilità di trasmetterla ai figli. «Avere una storia familiare di attacchi cardiaci in età giovanile è uno dei quattro segni che devono far sospettare una possibile ipercolesterolemia su base genetica e spingere ad approfondimenti», osserva Maurizio Averna del Centro Dislipidemie Genetiche del Policlinico Giaccone di Palermo. «Gli altri elementi sono problemi cardiologici, come angina o infarto, in età giovanile; livelli di colesterolo Ldl superiori a 190 nell’adulto o a 160 nel bambino; infine ci sono gli accumuli di colesterolo visibili, o xantomi. Tipici ma presenti solo nel 40-50 per cento dei casi, sono “granulosità” su gomiti, dita e dorso delle mani».

da Corriere Salute di Elena Meli

Alberico Catapano è membro del Comitato scientifico di Comocuore