La riduzione dell’attività ospedaliera per gli infarti durante la pandemia di Covid-19
Con la fase 2 della pandemia da Covid-19 e la riduzione dei casi ospedalizzati (sopratutto di quelli più gravi) è arrivato il momento di guardarsi indietro e valutare com’è cambiata in questo periodo l’affluenza dei pazienti in Ospedale. Nel nord Italia pressoché tutti gli specialisti operanti in ospedale hanno di fatto dovuto prestare la propria opera per assistere i malati che giungevano sempre più numerosi e sempre più compromessi con gravi insufficienze respiratorie legate all’infezione virale. I cardiologi non hanno fatto eccezione, e come conseguenza la gran parte dell’attività ambulatoriale e dei ricoveri in elezione sono stati drasticamente ridimensionati, dato che la maggioranza delle energie disponibili erano dirette alla cura dei malati Covid. Questo calo, imposto dalla situazione contingente, non ha quindi sorpreso nessuno. Quello che al contrario ci ha stupito è stato verificare un calo parallelo anche delle urgenze/emergenze cardiovascolari. Si tratta di una realtà condivisa da tutte le strutture ospedaliere che hanno fronteggiato la pandemia. Uno studio Italiano recente condotto su tutto il territorio nazionale ha registrato un calo del 54% degli accessi per infarto miocardico in Pronto Soccorso rispetto al dato storico dell’anno precedente, con valori più elevati nelle zone maggiormente colpite dalla pandemia. Noi stessi abbiamo osservato lo stesso fenomeno del nostro Ospedale: sempre meno malati con malattie cardiovascolari acute arrivavano in Pronto Soccorso e spesso giungevano con accessi tardivi. È noto che le cure migliori in caso di infarto del miocardio o di ictus si hanno se la presentazione in ospedale è precoce; i pochi malati che abbiamo visto in questo periodo tendenzialmente avevano una presentazione tardiva con quadri già evoluti e maggiormente compromessi. Poiché non abbiamo ragione di ritenere che la quarantena abbia ridotto l’incidenza di malattie cardiovascolari acute, una possibile spiegazione di questo fenomeno è che il timore di contagio abbia frenato le persone dal presentarsi in Pronto soccorso, ricorrendo alle cure ospedaliere solo quando la gravità dei sintomi non ha più permesso una gestione domiciliare. Se questa ipotesi è vera, dobbiamo aspettarci ne prossimi mesi e anni di trovare gli esiti di eventi cardiovascolari acuti decorsi senza trattamento e con esiti più o meno gravi. Questo farebbe parte degli effetti collaterali della pandemia da Covid, che potrebbe avere provocato danni non solo alla salute dei pazienti colpiti dall’infezione virale ma, indirettamente, anche ai pazienti affetti da patologie “tradizionali”.
Dott. Giovanni Corrado
Direttore UOC Cardiologia
Ospedale Valduce